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La Malora

by MARNERO

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1.
PORTI E se queste fossero solo parole? E se queste fossero solo parole? Il silenzio ha senso, un secondo sole è sorto, un morto è creduto vivo e un vivo è creduto morto. Sul ponte della nave fuori dal Porto, il senso di un viaggio senza ritorno, il silenzio di un’assenza, un vuoto pieno intorno, la scena di un incontro fra l’uomo di bordo e l’uomo sul bordo. La banchina è semovente, in una deriva lentamente galleggiante. La terra è ferma solo per quelli che hanno le catene alle caviglie ai polsi agli occhi e alle vene. Il formicaio dietro al Porto è una grande tomba a cielo aperto, Le formiche nel suo ventre ci lavorano per sempre senza mai farsi domande. Finirà che poi ci moriranno dentro. Nel centro del cerchio. LABIRINTI Nei gangli del Labirinto, non si trova neanche un mezzo vivente in mezzo a questa gente e la luce accecante non fa vedere niente. Il buio svela la sparizione dell’Orizzonte. La città dietro al Porto è una tomba gigante. Questa luce non è salvezza, è solo corrente alimentata da una schiavitù consenziente che si scava da sola una fossa gigante. Le ferite aperte di un mendicante, fra i morti lui solo mi guarda e mi sente. La città dietro al Porto è una tomba gigante. Seguo il Labirinto. Gente in divisa spala corpi senza vita. Perdo l’orientamento, come fuggendo da un inseguimento. Il Labirinto si prende gioco di me, mi porta allo scarto, mi forza verso la strada più lunga e io mi sono perso. Nel buio, quattro lanterne e l’insegna di legno di tre Taverne. Una figura che non ha volto, che io non guardo e non ascolto, mi mette in guardia, mi guarda e mi dice di non entrare, ma è un fantasma, è il disegno di gesso di un corpo rimosso da uno spalatore. La terza è una tetra Taverna, apro il portone. (Una nave, una candela, un uomo in una pozzanghera, sette rintocchi di pendolo e tutti voi) Otto corde, cinque sedie e una Sparizione. _____ All’alba di un giorno qualsiasi, una nave entra nel Porto di una città stretta fra mare e foresta. Il silenzio del mare aperto diventa a poco a poco il frenetico caos assordante di una terraferma, che poi proprio ferma non è, perché sembra muoversi sotto i piedi. La città, luminosissima, non è altro che una gigantesca tomba a cielo aperto in cui, come in un formicaio, i lavoratori consumano la loro vita scavando la propria fossa giorno e notte. Chi muore, durante lo svolgimento di questi eterni lavori forzati, viene spalato via da altri morenti, complici e figli dello stesso intento. Schiavi consenzienti, che a breve, a loro volta, saranno cadaveri. Nel Labirinto dei vicoli dietro il Porto, un numero imprecisato di Sopravvissuti converge per caso verso i lumi di quattro lanterne che segnalano la presenza di tre Taverne. In tempi diversi, nonostante una figura, all’imbocco di un vicolo, li metta in guardia, entrano tutti nell’ultima locanda, solo chiusa all’apparenza: un luogo abbandonato e spettrale, con un insegna di legno che dice “La Taverna dello Scarto”. Nell’oscurità della Taverna di legno, davanti ad un gigantesco Specchio frantumato, i Sopravvissuti si incontrano per la prima volta e si siedono attorno ad un tavolo. Alcuni di loro sono arrivati con una nave, altri sono fuggitivi, altri naufraghi. Qualcuno si è svegliato lì dentro dopo una notte difficile, qualcun altro passava per caso. Tutti quanti sono feriti. Le loro ferite sono diverse ma uguali. Bevendo vino e giocando un qualche gioco di carte, ciascuno di loro racconta la sua storia, o ciò che ne resta. Scoprono nelle versioni altrui qualche elemento comune. Tutti loro hanno perso qualcosa, hanno fallito, sono Sopravvissuti.
2.
“L’unica finestra della Taverna dello Scarto aveva i vetri rotti. Sembrava un luogo abbandonato da settimane, se non mesi. La porta di legno era alta, massiccia e pesante. Mi fermai sulla soglia. Il luogo era oscuro, e mi pareva deserto. Non c’era nessuno. Aveva tutta l’apparenza di una spettrale nave di legno. Alzai lo sguardo e vidi che, in alto, tra le pietre e le travi di legno del soffitto, pendevano delle corde. Ne contai esattamente 8, tre delle quali avevano dei nodi e un cappio perfettamente assicurato alla maniera di un boia professionista. Guardai in basso e mi resi conto che, sotto al tavolo, un uomo giaceva in una pozzanghera di sangue. Forse si era impiccato ma la corda aveva ceduto, o era scivolato, e cadendo si era fracassato il cranio. Mi avvicinai di scatto, ma mi accorsi subito che l’uomo respirava. A quanto pare era solo un Ubriaco.” L’UBRIACO “Cos’è successo ieri? Un naufragio, un disastro? Non ricordo... Un corpo morto e un Porto, un racconto scritto sul Diario di Bordo.” Una pozza di sangue o vino rosso? “Uno Specchio che ha stravolto il riflesso distorto del mio volto. La corda stretta al collo, ma io non me ne sono neanche accorto.” Una visione, un sogno sepolto, o un racconto? Chi è sconfitto? (Sopravvissuto) Chi ha smarrito? (a che è servito?) Chi ha scordato? (la valigia è vuota) Chi ha giocato questa partita? Meglio morire che perdere la vita. IL CIECO “Cosa ti porta in questa Taverna? Sei mezzo morto o sei mezzo vivo?” Il Cieco disse “Non vedo un motivo” Gli occhi cuciti scrutavano il Vecchio. Il Cieco disse “Non è un approdo” Fissava nei frammenti rotti di quel grande Specchio. “Salpai da cieco di mare su quella galera infame. Da mendicante, senza aspettarti niente, vai alla cieca e puoi rinnegare chi sei e tu che bevi per non scordare, versami ancora del vino che io preferirei di no, non dimenticare, e quindi ho scelto di mendicare. Su quella nave cantavo il mare e i guai, tenevo il ritmo e narravo le gesta, storie che spronano allo sforzo i marinai per tener duro e scamparla dentro la tempesta. Mi cacciò il capitano, non la gradiva l’imprevedibilità E adesso, non previsto, sono qua a terra e ho aperto gli occhi ai miei fallimenti. Non ho scordato quello che ho perso, ma guardo in modo diverso e vedo Altrimenti. Ma ora son Cieco di terra e so che solo in mare ci vedo qualcosa di più. Vedo qualcosa di più e questa ferita, questo tatuaggio, e questo dito mutilato, non li ho mai visti ma porto il dolore che è stato. Guardo dietro le mie spalle e mi vedo chiudere porte. Guardo davanti ai miei occhi e vi vedo ammanettati alla morte. I cani randagi, gli echi dei passi, e questo dito ammutinato, non li vedo più ma porto sul corpo il dolore che è stato. Guardo davanti ai miei occhi, rinuncio al bastone e al mio nome e mi vedo guardare. Guardo davanti ai miei occhi e mi vedo guardare. _______ Un Ubriaco si è appena svegliato in una pozzanghera. Dormiva sotto il tavolo e non sa dire se le avventure che ricorda siano memoria, visione, sogno o racconto. Rilegge un Diario di Bordo, beve per ricordare ciò che ha perso, e si dispera. Un Cieco racconta della sua scelta di mendicare dopo una vita passata a cantare su una nave, accompagnando le manovre dell’equipaggio. Racconta del suo dito mutilato, del suo vedere altrimenti, della differenza fra un Cieco di Terra e un Cieco di Mare.
3.
IL CLANDESTINO Naufrago fra le onde di sabbia, stivato nella pancia gigante di una barca bianca. Senza rifugio, difesa, né nome, lui scappa nel vuoto di un’amnesia e nell’apnea del respiro che manca. “Tu partirai con dolore” Le ombre spariscono quando ti butti nel mare. La mente può dimenticare ma il cuore non può più scordare. I demoni sui fragili bordi li lascia sospesi ad oscillare. Ma scappa dai mostri, i feroci e veloci cagnacci, non sente per niente i rimorsi ma solo un po’ i morsi sui polpacci. Corre vestito di stracci e non ha più paura della visione futura di qualche sciagura. Allora si ferma, si volta e guarda negli occhi quei cani. Loro lo fissano immobili. Lui apre le mani. “La mia ferita esiste prima di me. La mia ferita esiste dopo di me.” Corre, non può più fermarsi e va fino al confino, perché alla fine il destino di tutti è clandestino. “La mia ferita esiste prima di me” Seduto in una taverna ora si versa il vino, accanto ad un Marinaio, un Cieco, un Baro e un Bambino. A volte la fuga è l’ultima carta per dire di No. Per dire di No. IL MARINAIO Il Vecchio era un marinaio. Era anche un marinaio. Per scappare dal colera e dalla galera salpò su un’altra galera, con vele rosse e bandiera, con clessidra alata e un teschio sulla chiglia nera. Non ricorda più il suo nome qual’era, il suo volto rugoso è sferzato dal tempo e la voce grattata dal vento narra il fallimento di un suicidio e di un ammutinamento. Una vita a cercare una via per non obbedire né comandare, una vita a morire infinite volte prima della morte definitiva. Il comandante, senza una nave, si guarda allo specchio e non sa più che fare, ma la nave senza un comandante, alla fine, può pur sempre navigare, alla deriva. _________ Un Clandestino, appena sbarcato in gravi condizioni di salute, racconta la sua fuga, tra amnesie e allucinazioni deliranti dovute alla febbre. Gradualmente, comincia a ricordare: il deserto, una ferita, un assassinio, una fuga: ha perso tutto. Un Vecchio Marinaio, ex rivoluzionario, narra le sue inutili gesta, le insidie a cui è sopravvissuto, i suoi ammutinamenti a bordo, la fuga dalla prigione. Parla dei mille tentativi falliti di combattere i due volti dell’esercizio dello stesso Potere: servire e comandare, e dell’impossibilità di trovare un approdo.
4.
IL BARO E IL BAMBINO Un Vuoto riempie una stanza, il buio è sostanza e presenza di luce esaurita. Il Baro infilandosi i guanti dice a tutti quanti: “Affinché voi mi crediate in vita”. Poi muove le dita e serve la mano con un movimento delle sopracciglia. La foresta avanza, un bimbo corre nella stanza con foglie attaccate alla maglia: è reduce da una battaglia dentro la foresta, o meglio contro la foresta. Il Baro racconta la storia della sua vita, o di ciò che ne resta. Il Cieco scruta le carte e dice: “Amico, questo non è il tuo copione”. Il barometro è impazzito, il bimbo punta il dito e gli grida: “Imbroglione!” In disparte di fronte allo Specchio, ma fuori dal suo riflesso, le carte false le tiene per sé. La parete è avanzata, la stanza è cambiata, e il Baro non può più sedersi in disparte. Il Bambino è un po’ più grande e chiede di giocare a carte. Il Baro non vuole il contatto con gli altri, non ha mai saputo adattarsi al contesto. Del resto non guarda lo Specchio e non vede il Bambino che imita ogni suo gesto. Il Baro perde la mano anche se è lui a mischiare il mazzo: non sa più quando bara. “Cazzo, il Bambino ormai è un ragazzo”. Il Baro spacca il bicchiere, si taglia una mano e il ragazzo gli porta una benda, ma gli cade il Manuale e ormai è tempo che si arrenda. La ferita rimane aperta, la farsa ora è scoperta e il Baro ormai è stanco di sé. Il rosso in terra è sangue vero che riscrive il gioco da zero. E il gioco è lasciarsi perdere. Il Baro ora guarda lo Specchio e il Bambino ormai è un vecchio. “Il Manuale e il Diario di Bordo li ho bruciati, sì d’accordo, ma io non scordo una bara, un ruolo, una maschera, un mimo, un volto. Un me stesso ormai dissolto. Ormai sepolto. Una scheggia nella mano che fa male, che non provo più a levare, ma stringo il pugno ancor di più”. Brucia le carte false, brucia il manuale. Brucia le carte false, brucia il manuale. ____________ Nel frattempo, un Bambino piccolo, selvatico, corre nella Taverna come un pazzo, ma al contatto con gli avventori inizia a crescere: li osserva, li imita, diventa come loro, presto invecchia e muore. Un Baro serve le carte mantenendosi in disparte per non riflettersi nel gigantesco Specchio. Ma presto anche i suoi trucchi migliori si riveleranno inutili: getta le carte false perché non sa più distinguere quando bara da quando non bara. Si ferisce una mano, sanguina, stringe il pugno e tiene duro.
5.
LA SPARIZIONE Una sparizione, a filo d’acqua, tra i fili della terra ferma. ________ Improvvisamente i Naufraghi attorno al tavolo si rendono conto che uno di loro è sparito. Non sanno perché, non sanno dove, non sanno chi. La tensione cresce. Cercano ovunque, anche dietro la tenda, ma non c’è niente. Cercano una spiegazione alla Sparizione, ma non c’è. Nella Taverna lo spazio si sta restringendo, perché le pareti della stanza si stanno avvicinando progressivamente al tavolo. La ciurma è sotto assedio: la Grande Foresta in fiamme si sta facendo strada fra le incrinature delle assi di legno, ingoiando tutto quello che incontra. Un antico Pendolo che perde colpi sta accelerando l’oscillazione, facendo precipitare il tempo. Le condizioni mutano attorno ai personaggi costringendoli continuamente a ridefinire le proprie posizioni.
6.
Il Pendolo 04:28
IL PENDOLO Senti? Oscilla imparziale, scandendo il Tempo del pendolare terminale. L’uomo vestito in grigio ne ha ucciso un altro, colpendolo. È dolore? O il suo riflusso? O il suo riflesso? Maledetto Pendolo che di colpo ha perso un colpo e adesso conferma le mie colpe. Anche se resta un margine di orrore. Anche se resta un margine rassicurante come ogni prigione. Un margine di orrore. Ci vuole impegno, non rinuncia, per perdere colpi. Ci vuole impegno, non rinuncia, per perdere colpi. Lo Scarto, in ritardo e in anticipo allo stesso tempo, crea un successivo e non un precedente. Lo Scarto ha fatto precipitare i venti e spinge verso un Altrimenti. Lo Scarto ci ha fatto schivare il presente e ci spinge verso l’Altrimenti. Galoppa puntuale ad un appuntamento al quale si può solamente mancare,ma il sistema ha un difetto tremendo: tutte le parti reagiscono da Manuale. Lo Scarto è l’apostrofo nero fra la simmetria e l’asimmetria. L’errore ha un limite previsto che è dentro la media, altrimenti finisce scartato.Chi ha deciso strumenti e unità di misura ha deciso anche il risultato. Ma lo Scarto ha creato le incrinature nella norma e nelle sue misure, l’acqua già penetra dalle fessure. Ci vuole impegno per perdersi, ci vuole la scelta per perdere tutto. Il Vecchio disse: “E se fosse il pavimento a oscillare, e se fossimo solo su una nave? Questo Pendolo Marino ci darebbe una direzione, allora.” Alla Buon ora: abbraccia il disastro, abbraccia la Malora. _________ Un uomo vestito da funzionario, sostenendo di essere un Orologiaio, tenta di riparare il Pendolo per ripristinare l’ordine precedente. Le sue manovre falliscono. È l’ora di prendere coscienza che tutte le regole che erano in vigore sono ormai saltate. Una catastrofe incombe. L’Orologiaio, arreso, ripercorre la sua vita fallimentare e i suoi sensi di colpa per aver infranto la tirannia della sua consuetudine. Il pavimento oscilla e il Pendolo non segna più l’ora, ma una posizione sulla carta nautica. La Taverna ora inizia ad avere l’aspetto di una nave.
7.
LA SCIAMANA L’uomo nasce e muore. Nel mezzo vive. Dimmi, se sei morto, dove è la tua tomba? Creature smarrite nell’illusione si risvegliano solo con un chiodo piantato dentro al piede. Tutto viene dall’acqua. Le condizioni si sono determinate. IL TESTIMONE Non fuggire, né galleggiare, ci deve essere un modo altro. Non negare né annegare, ad un passo dallo schianto. Non c’è, sotto il tappeto, niente di ciò che hai perso. Niente dietro la tenda, in un senso o nel suo inverso. Se guardi dentro l’abisso il sommerso ora è riemerso. Se guardi dentro lo Specchio conti un numero diverso. Sulla frontiera fra ascoltare e sentire, fra sentire e comprendere, fra conoscere e agire, fra luce e buio, fra mare e porto: le cose avvengono sul bordo. Dietro le quinte, improvvisamente si alza il sipario, ma dietro non c’è più niente. Dietro le quinte non c’è più niente. Il teatro brucia, e nessuno si accorge di niente, ma poi il tribunale brucia, il Testimone è uno di noi. Ultima volta per le obiezioni respinte, ultima volta per le obiezioni accolte. C’è un’ultima volta per ogni cosa, c’è un’ultima volta anche per le ultime volte. Ultima volta per colpevoli e assolti, ultima volta per le speranze di salvezza. Niente è successo se nessuno lo racconta, ma non abbiamo prove da portare in tribunale, ma solo un Testimone di cui non ci si può neanche fidare. [Io lo so. So che è vero. Sono uno di voi. Sono voi.] E anche se fossero solo parole, qualcuno c’è che sta parlando. Non negare né ignorare che il fallimento è fino in fondo, ad un passo dallo schianto. Il dolore è Testimone che la fine ci alita sul collo. Alzare il bavero ed andare, ad un passo dal tracollo. E anche se fossero solo parole, qualcuno c’è che sta ascoltando. Non negare né annegare quello che resta sul fondo, ad un passo dallo schianto. ____________ Seduta al tavolo davanti allo Specchio, o dentro lo Specchio stesso, c’è una donna misteriosa. La donna è una Sciamana fuggita da un villaggio che ha conosciuto l’irreversibile e violento passaggio di stato da comunità di persone libere a società di schiavi consenzienti. Dallo Specchio profetizza l’arrivo di una Sciagura che in realtà è accaduta da tempo e accadrà per sempre: la Malora. Mentre la Taverna, in effetti, sta collassando su se stessa, un uomo con la mano di legno che fuma la pipa commenta le storie altrui, senza svelare la propria. Si offre come Testimone, cercando la fiducia degli altri in un tribunale senza giudici, in un teatro senza quinte, in fiamme. Nel frattempo la Foresta ha invaso la stanza, l’acqua è penetrata dalle fessure, il Pendolo è in frantumi, lo spazio è ormai ridotto al minimo e Noi dobbiamo trovare una via di uscita, che infatti non c’è, ad un passo dallo schianto.
8.
SPECCHIO NERO Come il mare che non smette mai di muoversi sotto la lastra di ghiaccio, la verità ha i bordi frastagliati di un iceberg che si scioglie in un irreversibile passaggio di stato. Una Taverna alla fine del mondo avanza inesorabile e crolla su se stessa. Un tavolino ribaltato piega verso uno Specchio increspato come il male. Nel vetro oscuro la lastra frantumata non riflette più niente. Un mare di tenebra dentro, un gorgo nero, e davanti Noi. Noi amici del conflitto e nemici della guerra. Noi senza divisa che ci siamo rifiutati di militare. Noi che ci siamo visti la nuca. Noi che non abbiamo saputo dire “Noi”. Noi, una minoranza che si è aggrappata al Nulla. Noi che combattiamo la tirannia dell’Io. Noi che combattiamo la tirannia del gregge. Noi che abbiamo cercato un’altra posizione sulla stessa barca e nello stesso tavolino. Dopo il primo passo, oltre la prima soglia, tutto è già dietro di miglia. Col cuore squarciato dal vuoto, squarciato dall’assenza (il vuoto nel cuore nel cuore del vuoto). Si può guardare attraverso, si può andare verso un Come, un Eppure, un Altrimenti diverso. Nulla è meno probabile, nulla è più necessario. Nulla è meno probabile, nulla è più necessario. Le condizioni cambiano sempre. Bisogna dare forza alle mani, agli occhi, agire lo Scarto, non accettare niente di meno dell’orrore e del sublime, misurare le nuove distanze, le condizioni cambiano sempre. Ci sono braccia, gambe e dolore abbastanza per farlo. La Taverna non c’è più, espulsa, buttata via, come una placenta dopo il parto. Il Pendolo è in fiamme, e noi siamo feriti, il vento violento diventa un respiro. Bisogna andare avanti anche se avanti non c’è nulla. Bisogna guardare l’abisso e c’è il rischio di finire a brandelli. E allora? Senti il Suono della Malora. Senti il Suono della Malora. Nulla è meno probabile, nulla è più necessario dell’ultimo lancio di dadi per imparare a fallire. Nulla è meno probabile, nulla è più necessario dell’ultimo lancio di dadi per imparare a morire. Non chiederò perché, non chiederò chi, non chiederò cosa, non chiederò verso dove, ti chiederò soltanto il Come. Lo sapevamo anche prima, certo, si intende, lo sapevamo da sempre, ma adesso è a Noi la Scelta. ___________ Lo Specchio Nero, al muro non riflette più immagini: è un mare increspato nero di tenebra. Noi, accalcati l’uno addosso all’altro, siamo costretti a ribaltare il Tavolo per usarlo come una zattera. Dallo Specchio trabocca fuori un Vuoto. Mentre la Taverna crolla tutto attorno, l’imbarcazione di fortuna piega verso il Buco Nero. La Malora è in atto, Noi alziamo il bavero e andiamo, mantenendo la calma per continuare le manovre. Non vi è nulla di meno probabile, e nulla di più necessario, che scaraventarsi a bordo del tavolo ribaltato contro il gorgo oscuro dello Specchio. E poi. Non c’è epilogo, non c’è approdo, non c’è salvezza. C’è il rischio di andare a finire a brandelli. Quello che sentiamo è il Suono della Malora, il Suono di qualcosa che si spezza, il rumore delle cose che si sbriciolano, il Suono del nostro tentativo continuo, e ovviamente sempre fallito, di essere liberi. Il Suono della Malora è quello della rottura del ciclo. Del ciclo delle rivoluzioni e delle contro-rivoluzioni, perpetuate nelle stesse illusioni, che ridondano in eterno attraverso il risentimento: Obbedire/Comandare. Rischiare/Fallire. Avere/Perdere. Amare/Gettare a mare
9.
L'altro lato 05:15
Noi due, Noi quattro, cinque, otto, seicento, Noi ci siamo persi e non abbiamo il tempo di fermarci, né di chiederci dove, perché, chi, o cosa: di risposte non ce ne sono. La sola cosa che sappiamo è cerchiamo un modo per attraversare lo Specchio per trovare un altra posizione: un Come, un Eppure, un Altrimenti. Ma prima bisogna affrontare le ombre che ci seguono anche nello spazio e nel tempo finito. Voltarsi, guardare l’abisso e imparare a morire.

about

MARNERO | La Malora | No © 2016
www.ilmarnero.com | ilmarnero@gmail.com
____________________

Testi tratti da
La Malora (4di3)
di J.D. Raudo
BéBert Edizioni
www.bebert.it

Musiche di MARNERO
G.J. Ottone: batteria, cori
S.B. Sabata: chitarre
B. Pastura: basso, cori
J.D. Raudo: voci, chitarre

credits

released January 1, 2016

SULLA STESSA BARCA:
Matteo Bennici: violoncello — Porti, Il Testimone, L’altro lato
Michele Boldrin: violini, viola — Il Bambino, L’altro lato
Bruno Dorella e Stefania Pedretti (OvO):
tamburi e voce — La Sciamana
Grimorio Luciani: cori — L’ubriaco
Nicola Manzan (Bologna Violenta): violini e viola — Il Testimone
Zimmi Martini: contrabbasso — L’altro lato
Paride Piccinini: tromba — L’altro lato
Michele Stocco (Phobonoid): chitarra — Il Marinaio

Concept, artwork, layout: R R garadinervi.com

LA TRILOGIA DEL FALLIMENTO
Naufragio Universale (2010)
Il Sopravvissuto (2013)
La Malora (2016)

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MARNERO Bologna, Italy

TUTTO QUELLO CHE NASCE MUORE
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